Essays 1996 - 1999
Index
1.1 Marzia Mazzo, presentation of individual exhibition, spazio Kalon, 1999
2.1 Roberto Borghi, presentation of “Sette pezzi facili” group exhibition, 1998
3.1 H.S, review of exhibition at Signum in Heidelberg, Rhein-Neckar-Zeitung, 1997
3.2 H.S., English translation
3.3 H.S., Italian translation
4.1 Maurizio Sciaccaluga, review of individual exhibition at Diecidue arte, Next magazine, spring 1997, Italian original5.1 Tommaso Trini, presentation of individual exhibition at Diecidue Arte and Galerie Signum, 1996
5.1 Tommaso Trini, presentation of exhibition at Diecidue, Milan and Galerie Signum, Heidelberg, 1996
5.2 Tommaso Trini, English translation
5.3 Tommaso Trini, Italian translation
1.1 Marzia Mazzo, presentazione di mostra individuale, Spazio Kalon, 1999
Oscar Wilde nel suo capolavoro “Il ritratto di Dorian Gray” nell’introduzione enuncia delle massime che ben si adattano all’artista Jorunn Monrad ossia: “Nessun artista è mai morboso. L’artista può esprimere qualsiasi cosa” e “Tutta l’arte è al tempo stesso superficie e simbolo. Forse tante piccole salamandre che scivolano sulla tela agitando i loro sinuosi corpi danno il senso della morbosità? Si, potrebbero dare quell’impressione ma se per un breve istante pensassimo di essere osservati da un elicottero in alta quota noi risulteremmo al pilota come queste piccole salamandre, che cercano il loro spazio in un posto troppo piccolo per poter vivere comodamente, agitate da ritmi incessanti che la vita ci sottopone; delle “S” che catalizzano il nostro sguardo. Quindi i quadri di Jorunn sono uno squarcio della vita che non ti da tregua e con occhi da extraterrestre questo essere ripetuto all’infinito fissa lo spettatore che rimane colpito da questo brulicare, forse accostandosi al dipinto riuscirebbe a captare i discorsi di questi animali che come una torre di babele pronunciano frasi diverse in lingue diverse ma che stranamente riescono ad amalgamarsi gli uni con gli altri creando degli intrecci e dei giochi con i loro corpi quasi volessero insegnarci a sopravvivere uniti.
2.1 Roberto Borghi, presentazione della mostra “Sette pezzi facili”, pubblicazione sulla mostra edito da Diecidue arte, 1998
(...) “La schacchiera di Aldo Spinelli, quella di Danilo Premoli e quella di Jorunn Monrad si concentrano sulle “regole del gioco”, intendendo quest’ultimo termine rispettivamente in chiave linguistica, scientifica in senso lato e percettiva. Ma le “norme”, cioè gli elementi strutturali di queste opere, si scontrano con il desiderio di eluderle o di stravolgerle in una direzione “altra” rispetta a quella puramente formale, e di sconfinare in tal modo nella vita.”
3.1 Rhein-Neckar-Zeitung, 28. Mai 1997
Ein Hauch von Vasarely irritiert das
Auge des Galeriebesuchers, denn die großformatigen Acrylarbeiten der in
Mailand lebenden Norwegerin Jorunn Monrad zeichnen sich durch flirrende
Pop-Art-Effekte aus.
Sehr treffend nennt die Malerin, die zur Zeit in der Galerie Signun in
Heidelberg ihre erste Einzelausstellung in Deutschland zeigt, ihre
Bilder “Pink on grey” oder “Green on yellow”, “Green on pink” oder “Pink
on green”, “Green on grey” oder “Green on mauve”. Die Titelreihe ließe
sich forstetzen. Mit der Farbe aber, die einen monochromen, wenngleich
aus mehreren Schichten erzielten Untergrund abgibt, ist es allein nicht
getan. Die Künstlerin, der von Seiten eines italienischen Interpreten
attestiert wird, mit ihrer Malerei zur Biosphäre zu tendieren,
präsentiert ein auf den ersten Blick unentwirrbar erscheinendes
Gewimmel. Als “Reptil-Linien der Evolution” mag man dies bezeichnen,
denn bei näherem Hinsehen entpuppen sich diese Endlos-Salamander, die
die ganze Fläche durchziehen, als kleine Gespenster, also Monstren,
ebenso liebenswert wie unheimlich. Bei diesem Gewusel mag mancher an
jene Tapetenmuster zurückdenken, die ihm einst als fieberndes Kind mit
allerlei bedrohlichen Formationen ängstigten. Jorunn Monrad soll sich
davor hüten, dass ihre Muster nicht zur Masche geraten. Eintönigkeit hat
ihre Tücken. (Bis 1 Juni). H.S.
3.2 Rhein-Neckar Zeitung, review of individual exhibition at Galerie Signum by H.S., 1997
An atmosphere evoking Vasarely
disturbs the eye of the gallery visitor, as the large acrylic paintings
of Norwegian Jorunn Monrad, currently resident in Milan, are
characterized by quavery effects of optical-art light.
The painter, who exhibits for the first time in Germany with a solo
show currently open at the Signum gallery of Heidelberg, considers her
paintings “Pink on grey” or “Green on yellow”, “Green on pink” or “Pink
on green”, “Green on grey” or “Green on mauve” very representative. The
series of titles could go on.
But the color, which creates a monochrome background, even if created by superimposition, is not sufficient as such.
The artist, who according to an Italian critic tends with her paintings
towards the biosphere, creates a swarming at appears entangled at first
glance, and that may be referred to as reptile lines of evolution. A
closer observation in fact reveals these salamanders without
interruption, that pervade the entire surface like small appealing yet
unsettling phantasms or monsters. This tangle may remind some of those
wallpaper designs that scare a feverish child with all kinds of
threatening images.
Jorunn Monrad should take care that her models do not become the meshes of a net from which it may be hard to get loose.
Monotony has its dangers.
(Until 1 June)
3.3 Rhein-Neckar Zeitung, recensione di personale presso Galerie Signum di H.S, maggio 1997
Un’atmosfera alla Vasarely
infastidisce la vista del visitatore della galleria, in quanto le opere
in acrilico formato gigante della norvegese Jorunn Monrad, attualmente
residente a Milano, sono contraddistinte da tremolanti effetti di luce
da optical-art.
La pittrice, che espone per la prima volta in Germania con una
personale attualmente in corso presso la galleria Signum di Heidelberg,
ritiene molto rappresentativi i suoi quadri “Pink on grey” o “Green on
yellow”, “Green on pink” o “Pink on green”, “Green on grey” o “Green on
mauve”. La serie di titoli potrebbe continuare.
Ma il colore, che dà vita a un fondo monocromatico, sebbene ottenuto attraverso la sovrapposizione, da solo non basta.
L’artista, che secondo un critico italiano tende con la sua pittura
alla biosfera, dà forma a un brulichio che a prima vista appare
“inestricabile” e che può essere denominato “linea-rettile
dell’evoluzione”. Guardando più da vicino si rivelano infatti queste
salamandre senza soluzione di continuità che pervadono tutta la
superficie come piccoli fantasmi o mostriciattoli tanto gradevoli quanto
inquietanti. Questo groviglio può richiamare alla mente di qualcuno
quei disegni della tappezzeria che da bambino febbricitante lo
spaventavano con ogni sorta di immagini minacciose.
Jorunn Monrad dovrebbe guardarsi dal far diventare i suoi modelli maglie di una rete da cui sia difficile liberarsi.
La monotonia ha le sue insidie.
(Fino al 1 giugno)
4.1 Maurizio Sciaccaluga, recensione della mostra personale presso Diecidue arte, Next primavera 1997
Un’ingenua freddura pubblicata anni
fa sul vecchio “Corriere dei Ragazzi” – in una rubrica denominata Lo Zoo
Pazzo, in Tilt – recitava che i microbi non sono miliardi, soltanto si
affollano per farsi riprendere dal microscopio.
Inteso ironicamente, è quanto succede nelle tele di acrilico di Jorunn
Monrad, dove il disegno stilizzato di una salamandra – ormai soltanto
gesto grafico, stilema paradossalmente anticonico – invade, occupa e
inflaziona lo spazio disponibile, fino a suggerire e minacciare un’idea
di possibile contaminazione. L’artista norvegese, trasferitasi da tempo
in Milano, reca in un diverso contesto – dunque anche in Galleria – la
pratica ossessiva e quotidiana del graffitismo contemporaneo, quella
fobia ripetitiva che spinge i writers a scrivere ovunque sempre il
medesimo e proprio nome o grafema, onde prendere possesso e conoscenza
del mondo intero.
L’azione della Monrad non può essere rapportata alle costruzioni
ottiche di Escher, piuttosto è da paragonare alla ricerca informatica
circa i pixel grafici o i files di un software pirata.
La proliferazione incontrollabile del segno/salamandra, la cancellazione
assoluta di ogni altra presenza sulla tela-schermo, inducono a
considerare questi personaggi (rettili o anfibi che siano) quali virus
elettronici, pronti a eliminare ogni altro segno onde proporre, quale
unico comandamento, un data base monolitico e spiazzante.
La doppia valenza di una pittura apparentemente immediata e veloce, in
realtà accurata e razionale – basti pensare alla ricerca concretista
delle varianti timbriche, all’analisi dei rapporti tra colori in primo
piano e di sfondo, alla dialettica cromatica giocata sul concetto di
negativo/positivo – induce sovente in errore, impedisce una fruizione
distaccata e seriale, rallenta la lettura dell’opera stratificandone gli
ambiti concettuali.
Jorunn Monrad mina l’idea stessa di esposizione, ridiscute lo spazio
dell’arte e della visione, nasconde e tradisce l’asettico torpore della
galleria.
I suoi animaletti potrebbero incessantemente continuare a duplicarsi,
mostrando soltanto e sempre se stessi, appropriandosi della proposizione
logica mass-mediale “apparire dunque esistere”.
4.2 Maurizio Sciaccaluga, review of the exhibition at Diecidue arte, Next, spring issue 1997 (12)
An ingenuous crack published
years ago in the old “Corriere dei Ragazzi” – in a column called The Mad
Zoo, in Tilt – asserted that it is not true that there are billions of
microbes, they are merely crowding to be photographed by the microscope.
In an ironic sense, this is what happens in the acrylic canvases of
Jorunn Monrad, where the stylized drawing of a salamander – at this
point just a graphic gesture, a paradoxically anti-iconic style element –
invades, occupies and fills the available space, to the point of
suggesting and threatening an idea of possible contamination. The
Norwegian artist, who has lived in Milan for some time, renders in a
different context – and thus also in a gallery – the obsessive and
day-to-day practice of the contemporary graffiti tradition, the
repetitive phobia that makes the writers write, everywhere and always,
the same identifying name or grapheme, in order to take possession and
cognizance of the entire world.
Monrad’s action cannot be related to the optic construction of Escher,
it should rather be compared to information technology research on
graphic pixels or the files of a pirate software. The uncontrollable
proliferation of the sign/salamander, the absolute cancellation of every
other presence on the canvas-screen, make the observer consider these
entities (whether reptiles or amphibians) as electronic viruses, ready
to eliminate every other sign to propose, as the sole command, a
monolithic and disorienting data base.
The double valence of an apparently immediate and rapid, and really
accurate and rational painting – witnessed by the concretist research on
color variations, the analysis of the relationship between the colors
in the foreground and those in the background – often mislead, hindering
a detached and serial observation, delaying the reading of the work by
layering its conceptual spheres.
Jorunn Monrad undermines the very idea of exhibition, questions the
space of art and vision, conceals and betrays the aseptic torpor of the
gallery.
Her little animals could incessantly continue to duplicate themselves,
showing only and always themselves, appropriating the logical
mass-medial proposition “I appear therefore I am”.
Maurizio Sciaccaluga
5.1 Tommaso Trini, presentazione del catalogo della mostra personale presso Diecidue Arte e Galerie Signum, 1996
Linee rettile dell’evoluzione
Alcuni artisti oggi emergenti stanno
lavorando sui confini delle forme di vita che non sono ancora
considerate tali. I migliori fra loro sono impegnati a realizzare opere
d’arte che, in modo sempre più letterale e meno metaforico, senza troppe
alchimie, raccordano l’artefatto inanimato con l’organismo vivente, le
immagini coi processi biotici. I loro linguaggi disegnano forme di
esistenza tra l’essere e il nulla. Lo vediamo nell’arte di Jorunn
Monrad, la cui pittura tende alla biosfera.
Nelle sue tele che formano una superficie continua (al limite, un
unico quadro in espansione), da qualche tempo prolifera un nugolo fitto
ma trasparente di linee rettili che fremono di vita animale (al limite,
un unico segno che tende invece a concentrarsi in un individuo, un
pittogramma animato) col risultato di riunire, in una sola occhiata, una
massa primigenia di replicanti iconici che configurano, certamente, un
solo corpo colloidale (quello della loro specie grafica) ma anche
ricreano visibilmente, pur con accenti di favola, la lotta per
l’esistenza sotto la selezione del nostro sguardo. La visione narrante
di questa artista che viene dal Nord è sinfonica e monodica insieme. Più
vicina all’arte di Bosch e Mario Merz che non alla disopia escatologica
delle fantasie “post-human”. La sua pittura non solo affabula i
processi di replicazione e mutazione del regno vivente: fa anche vedere
che l’evoluzione della vita procede per salti e non in modo lineare
(come sostiene Stephen Jay Gould, uno dei maggiori scienziati
neodarwinisti). Il suo modo inedito di mutare la linea retta in infiniti
ovuli rettili lineari stimolano euforia.
Nata in Norvegia, Monrad è un artista che lavora da molti anni a
Milano. In passato ha realizzato cicli di sculture, assemblaggi e
pitture che recavano tracce del folklore nordico, forme e colori
dell’immaginario popolare di cui si era nutrita durante l’infanzia
norvegese; traducendo sempre quel patrimonio iconografico originale,
naturalmente, in termini moderni; anzi, postmoderni. Così Monrad ha
sviluppato l’esercizio della memoria attraverso il fraseggio di elementi
decorativi. La memoria come linfa di ogni atto evolutivo. Con
intelligenza, lei ha elevato la decorazione degli stilemi scandinavi in
un pattern della trasmissione ereditaria. Dapprima, attraverso una
composizione formale: quella dei miti antichi con animali dalle anatomie
fantastiche. Poi, risalendo a una struttura concettuale: all’idea delle
origini. Il disegno organico come eredità iconografica. Da qui viene
l’imprinting che ora vivifica le sue tavole dell’evoluzione sotto specie
zoomorfa.
A me piace molto la sua pittura. Jorunn Monrad è un’artista tenace e
profonda, più creativa di quanto appaia a occhi distratti. Come persona,
lei pare svagata; invece, segue un’onda lunga anche se serpentina. Si
direbbe che dipinga con ossessione e ripetizione; al contrario, lei
accumula una visione calma e materna. L’opera della Monrad ha la forza
di un atto generativo, nonché le mete di un progetto evolutivo.
Per rendersene conto, basta leggere con attenzione le sue tele. Queste
preparano fondali biotici dai colori scuri, oscillanti dai rossi ai
blu, quasi che predisponessero un brodo primordiale per la nascita della
vita. E tali sfondi accolgono e nutrono il pullulare di minuscole
figure unicellulari, disegnate solo da un contorno unilineare, che sono
separate ma coese, così da formare un solo corpo colloidale ma vibrante.
Non è eccessivo definire la pittura di Jorunn Monrad come
un’ovulazione fresca e straordinariamente fremente, in cui una medesima
linea rettile fecondata dal colore prolifera in miriadi di corpuscoli
iconici, che il calore del nostro sguardo dischiude. Difficile è
nominare gli “animaletti” che essa configura: sono dei “big bang babies”
originati da un inizio? o sono delle “mini-popolazioni” che emigrano
dalla pittura?
Nel confronto con il lavoro di Keith Haring, per esempio, le
differenze sono più significative delle similarità apparenti. Dopotutto,
Monrad condivide con Haring soltanto il semplificato disegno lineare
delle forme, che in sé comporta un’altra affinità: la composizione
“all-over” (noi diremmo: tutta piena) delle superfici che elidono in tal
modo ogni direzione prospettica e qualsiasi punto di vista saliente.
Si tratta di affinità decisamente labili. Nei graffiti di Haring la
scena è frontale, il disegno lineare si spezzetta in figure che
stilizzano personaggi (pornografici, per non dire blasfemi,
naturalmente), le linee sembrano continue ma non lo sono, si intrecciano
più che altro nell’ostentazione del virtuosismo figurativo, col
risultato che la pienezza indistinta dell’azione grafica resta parziale e
diventa un racconto. Chi ritiene che il “radiant baby” di Haring possa
risalire alla sessualità polimorfa del branco ancestrale, non si è
ancora accorto che è una lampadina per sodomiti.
Niente di simile nella pittura di Monrad, che io preferisco a quei
graffiti. Questa pittura non agita scene violente perché non presuppone
la presenza di un pubblico voyeur contro il quale opporsi o sul quale
esercitare un fascino osceno. Monrad dipinge un puzzle di forme
nascenti, dove non c’è gerarchie ma equidistanza nel pullulare delle
figure. Crea l’immagine di un mondo equo, che si dilata per meglio
accogliere il massimo di quelle forme embrionali che lottano per
sopravvivere o soccombere: un’immagine equanime, direi, come i processi
di selezione naturale. Anche per Monrad “la bellezza ì l’equità
assoluta” come sosteneva Brancusi.
Sulle superficie continue di Monrad si accampa un’unica scena vista in
un’ottica zenitale entro uno spazio “tutto pieno”, perciò indefinito, o
infinito, assai simile a quello delle tele “all-over” di Pollock o di
Tobey. Una scena vista dall’alto come nel dripping, forse, o piuttosto
vista dal basso, attraverso una trasparenza liquida. In essa, osserviamo
la replicazione di una sorta di cellula figurale, un replicante
variegato, sempre eguale e, tuttavia, ogni volta diverso. A cosa
somiglia, quella cellula unilineare, lo vediamo subito: sembra un
rettile. Ma nel frattempo tutta la nostra visione è già stato occupata
dall’emergere di un’intera specie che freme.
Ciò che stiamo individuando è una nuova specie iconica – non una
particolare immagine singola – che le arti visive più recenti stanno
elaborando, io penso, assieme ai mass media. Si tratta di una
“quasi-immagine”, non più un semplice segno ma non ancora una figura
definita, che attraversa le comunicazioni, l’arte e l’informatica, per
colonizzare i loro strumenti e la nostra immaginazione con un
dispositivo a rete. Mi riferisco agli “animaletti” di Monrad e alle
icone della Apple o di Windows, alle “tags” graffite sui muri e ai
quadri di collaborazione fra Warhol, Basquiat e Clemente, come pure ai
pittogrammi animati, ai “logo” grafici, ai virus del computer, ai
diagrammi scientifici e ai prodotti, ancora non visibili,
dell’ingegneria genetica, ai quali bisognerà prima o poi dare immagini.
E’ probabile che questo arcipelago iconografico di “quasi-immagine”,
ancora da esplorare, equivalga, nelle sue funzioni, al novero delle
“quasi-specie” in cui la biologia comprende virus e batteri, cioè gli
stadi di vita intermedi tra la materia inanimata e la vita che ha
coscienza di se stessa. L’arte affabulatrice di Jorunn Monrad è uno dei
nidi più generosi e robusti. I suoi “animaletti” cresceranno.
5.2 Tommaso Trini, presentation of the catalogue published for the individual exhibition at Diecidue Arte and Galerie Signum, 1996
Reptile lines of evolution
Some emergent artists are today
exploring the boundaries of life forms which are not yet considered as
such. The best among them create works of art which, in an increasingly
literal and non-metaphoric manner and without too much alchemy, link
inanimate contraptions with living organisms, images with biotic
processes. Their languages visualize forms of existence belonging to the
borderland between being and nothingness. We witness this in the art of
Jorunn Monrad, whose painting aspires to the biosphere.
In her canvases, which form a continuous surface (or a single,
expanding painting), a dense but transparent swarm of reptile lines
quivering with animal life (or perhaps a sole sign that on the contrary
tends to be concentrated in an individual, an animated pictograph) has
since some time proliferated, with the result of uniting, in a single
glance, a primordial mass of iconographic replicas that configure,
certainly, a single colloidal body (that of their graphic species), but
which also visibly create, even if with the accents of the fable, the
struggle for survival under the selection of our eye. The narrative
vision of this artist from the North is, at the same time, symphonic and
monodic. It is closer to the art of Bosch and Mario Merz than to the
eschatological dystopia of “post-human” fantasies. Her painting not only
narrates the process of replication and mutation of the reign of living
beings: it also shows that the evolution of life proceeds by leaps and
not in a linear manner (as Stephen Jay Gould, one of the most important
Neo-Darwinian scientists, asserts). Her innovative way to change the
straight line in infinite reptile ovules inspires euphoria.
Born in Norway, Monrad has worked for many years in Milan. In the past
she has realized cycles of sculptures, assemblages and paintings with
traces of Nordic folklore, forms and colors originating from the popular
imagery of her Norwegian childhood, naturally always translating that
original iconographic heritage in modern, or rather, postmodern, terms.
Monrad has thus developed the exercise of memory through the phrasing of
decorative elements. Memory as the lifeblood of every evolutive act.
She has intelligently elevated the decoration of Scandinavian style
elements into a pattern of hereditary transmittal. Initially through a
formal composition: that of the ancient myths, with animals of fantastic
anatomies. Later, by retracing a conceptual structure: to the
primordial idea. Organic design as iconographic heritage. This has given
rise to the imprinting which now animates her images of evolution as a
zoomorphic species.
I like her painting very much. Jorunn Monrad is a tenacious and profound
artist, more creative than she may appear to distracted eyes. As a
person, she appears absent-minded; but she follows a long, even if
serpentine wave. She may seem to paint with obsession and repetition: on
the contrary, she maintains a calm and maternal vision. Monrad’s work
has the force of a generative act, and the aims of an evolutive project.
This becomes clear if one studies her paintings attentively. They
feature biotic backdrops in dark colors, oscillating from reds to blues,
almost as if they prepared a primordial culture medium for the birth of
life. And these backgrounds accommodate and nourish the teeming of tiny
unicellular figures represented by a single outline, separated but
united, thus forming a single, colloidal but vibrant body.
It is not excessive to define Jorunn Monrad’s art as a fresh and
extraordinary vibrant ovulation, in which a single reptile line,
fecundated by the color, proliferates in myriads of iconographic
corpuscles, disclosed by the warmth of our glance. It is hard to give a
name to the “little animals” which it represents: are they “big bang
babies” originated by a beginning? or are they “mini-populations” that
issue from the painting?
If we compare her art with that of Keith Haring, for example, the
differences are more significant than the apparent similarities. After
all, the only thing Monrad has in common with Haring is the simplified
linear drawing of the forms, which entails another affinity: the
“all-over” composition of the surfaces which thus escape any perspective
orientation and predominant point of view.
It is a manner of decidedly feeble affinities. In Haring’s graffiti the
scene is frontal, the linear drawing broken up in stylized figures
representing personalities (pornographic, not to say blasphemous,
naturally), the lines seem continuous but are not; if anything, they are
intertwined in an ostentation of figurative virtuosity, with the result
that the indistinct fullness of the graphic intervention remains
partial, and becomes a tale. Those who believe Haring’s “radiant baby”
can be retraced to the polymorphous sexuality of the ancestral pack have
not yet realized that it is a matter of a bulb for sodomites.
We find none of this in Monrad’s paintings, which I prefer to those
graffiti. This painting does not brandish violent scenes, as it does not
presuppose the presence of a voyeur public that must be contradicted or
on which to exercise an obscene fascination. Monrad paints a puzzle of
nascent forms, in which there is no hierarchy, but equidistance in the
swarming of figures. She creates an image of an equitable world which
expands to accommodate as many as possible of those embryonic forms that
struggle to survive or succumb; a dispassionate image, I would say, in
the manner of the process of natural selection. Also to Monrad “beauty
is absolute equity” as Brancusi put it.
Monrad’s continuous surfaces stage a sole scene seen from a zenithal
point of view within an all-over, and thus indefinite, space, very
similar to the all-over canvases of Pollock or Tobey. A scene seen from
the above as in the case of dripping, or perhaps rather seen from below,
through a liquid transparency. We observe, within it, the replication
of a kind of figural cell, a replica which varies, always the same and
yet different every time. We immediately perceive what that unilinear
cell resembles: it looks like a reptile. But in the meanwhile our entire
vision has already been occupied by the surfacing of an entire,
quivering species.
What we are facing is a new iconographic species – not a particular
single image – which the most recent visual arts are elaborating, I
think, along with the mass media. It is a matter of a “quasi-image”, no
longer a mere sign but not yet a defined figure, which we encounter in
the media, in the arts and in compute imageries; it colonizes their
instruments and our imagination in the manner of a network. I am
referring to Monrad’s “little animals”, the icons of Apple or Windows,
the graffiti “tags” on the walls and the paintings resulting from a
collaboration between Warhol, Basquiat and Clemente, as well as animated
pictographs, graphic “logos”, computer viruses, scientific diagrams and
the not yet visible products of genetic engineering, which must sooner
or later be associated with an image.
This iconographic archipelago of “quasi-images”, yet to be explored, is
probably equivalent, in its functions, to the group of “quasi-species”
of biology, comprising viruses and bacteria, i.e. the intermediate
stages of life between inanimate material and life that is conscious of
existing. Jorunn Monrad’s captivating art represents one of its most
generous and robust nests. Her “little animals” will grow.
Tommaso Trini, presentation of the catalogue published on the
occasion of the individual exhibition at Diecidue Arte and Galerie
Signum, 1996, also published in Juliet n. 82, 1997.
5.3 Tommaso Trini, Präsentation des Katalogs der Einzelausstellung in der Galerie Diecidue Arte und der Galerie Signum, 1996
Reptillinien der Evolution
Einige der heute bekannt werdenden
Künstler arbeiten an der Grenze von Lebensformen, die heute noch nicht
als solche betrachtet werden. Die Besten unter ihnen arbeiten an der
Realisierung von Kunstwerken, die auf immer mehr wörtliche und weniger
metaphorische Weise ohne große Umschweife das “Künstliche” mit dem
lebenden Organismus, Bilder mit biologischen Prozessen verbinden. Ihre
Ausdrucksform schafft Existenzfelder zwischen Leben und Nichts. Wir
sehen dies in der Kunst von Jorunn Monrad, deren Malerei zur Biosphäre
tendiert.
In ihren Bilden, die eine durchgängige Fläche bilden (knapp gesagt,
ein einziges, sich ausdehnendes Bild), wuchert seit einiger Zeit eine
dichte aber transparente Menge von Reptillinien, die von tierischem
Leben beben (knapp gesagt, ein einziges Zeichen, das dazu neigt, sich in
einem Individuum, einem animierten Piktogramm zu konzentrieren), mit
dem Ergebnis, dass auf einen Blick eine Masse ursprünglicher
Ikonen-Widerholungen dargestellt wird, die gewiss einen kolloidalen
Körper (den ihrer graphischen Zugehörigkeit) bilden, aber auch unter
unseren Augen sichtbar den Existentkampf darstellen, wenn auch oftmals
mit märchenhaftem Anhauch. Die erzählerische Sicht dieser Malerin aus
dem Norden ist gleichzeitig symphonisch und monodisch. Sie steht der
Kunst von Bosch und Mario Merz näher, als der eschatologischen Dystopie
der post-humanen Phantasien. Ihre Malerei erzählt nicht nur von
Reproduktions- und Mutationsprozessen im Reich der Lebenden, sie zeigt
auch, dass die Entwicklung des Lebens sprunghaft und ungleichmäßig vor
sich geht (wie Stephen Jay Gould, einer der bedeutendsten
neu-darwinistischen Wissenschaftler, behauptet). Ihre ungewöhnliche Art,
gerade Linien in unendliche, lineare Reptilinien zu verwandeln, bewegt
zur Euphorie.
In Norwegen geboren, ist die Monrad eine Künstlerin, die seit vielen
Jahren in Mailand tätig ist. In der Vergangenheit hat sie
Skulptur-Zyklen, Collagen und Malereien geschaffen, die Spuren der
nordischen Folklore, Formen und Farben der völkischen Vorstellung
enthielten, die sie in ihrer Kindheit in Norwegen aufgenommen hatte,
wobei sie diesen ursprünglichen, ikonographischen Reichtum
selbstverständlich ins Moderne oder gar Postmoderne umsetze. Damit
entwickelte Monrad die Gedächtnisübung als Grundstoff jeglichen
Entwicklungsvorgangs. Auf intelligente Weise hat sie das Dekor der
skandinavischen Stilelemente in ein Pattern der Vererbung umgewandelt.
Zunächst mit Hilfe einer Formen-Komposition: die der antiken Sagen mit
Tieren phantastischer Anatomie. Danach durch die Rückkehr zu einer
begrifflichen Grundstruktur, zur Idee des Ursprungs. Die organische
Zeichnung als ikonographisches Erbe. Daher stammt das Imprinting, das
heute ihre Bilder der Entwicklung zoomorpher Spezies belebt.
Mir gefällt ihre Malerei sehr gut. Jorunn Monrad ist eine hartnäckige
und tiefgründige Künstlerin, die sehr viel kreativer ist, als ein
zerstreutes Auge erfassen mag. Persönlich scheint sie geistesabwesend zu
sein; dagegen folgt sie einer langgestreckten, wenn auch geschlängelte
Welle. Anscheinend ist ihre Malerei obsessiv und repetitiv; dagegen
gelangt sie zu einer ruhigen, mütterlichen Sicht der Dinge. Das Werk der
Monrad hat die Kraft eines Zeugungsakts und die Ziele eines
Entwicklungsprojekts.
Um sich darüber klar zu werden, braucht man nur ihre Bilder aufmerksam
zu betrachten. Diese bieten biotische dunkle Untergründe zwischen Rot
und Blau, fast wie eine Ursuppe für die Entstehung des Lebens. Dieser
Untergrund empfängt und nährt ein Gewimmel winziger, einzelner Figuren,
die nur mit einem einstrichigen Rand gezeichnet sind und gleichzeitig
getrennt und verbunden sind, und dadurch einen kolloidalen, vibrierende
Körper bilden.
Es ist nicht übertrieben, die Malerei von Jorunn Monrad als frische
und außerordentlich bebende Ovulation zu bezeichnen, in der die gleiche,
durch Farben befruchtete Reptillinie sich in unzählige Ikonenkörperchen
zerteilt, die sich der Wärme unseres Blicks öffnen. Diesen von ihr
dargestellten “Tierchen” einen Namen zu geben, ist schwierig: Sind es
“Big-Bang-Babys” die aus einem Ursprung entstanden? Oder sind es
“Minibevölkerungen” die aus der Malerei auswandern?
Im Vergleich zu den Arbeiten von Keith Haring, zum Beispiel, sind die
Unterschiede bedeutender als die anscheinenden Ähnlichkeiten. Letztlich
hat Monrad mit Haring nur die vereinfachte, lineare Darstellung der
Formen gemeinsam, die wiederum zu einer weiteren Ähnlichkeit führt: die
All-over-Zusammenstellung (wir würden sagen: vollständige Darstellung)
der Flächen, durch die jegliche perspektivische Richtung und jeder
bedeutende Bezugspunkt zunichte gemacht werden.
Dabei handelt es sich um äußerst labile Ähnlichkeiten. In Harings
Graffiti ist die Szenerie frontal aufgefasst, die geradlinige Zeichnung
teilt sich in Figuren, die Personen (selbstverständlich in
pornografischer, wenn nicht gar gotteslästerlicher Art) stilisieren, die
Linien erscheinen durchgängig, ohne es eigentlich zu sein, sie
verflechten sich eher in der Ostentation der figurativen Fähigkeiten,
mit dem Ergebnis, dass die ungenaue Graphik partial bleibt und zu einer
Erzählung wird.
Die Malerei der Monrad bietet keine Gewaltszenen, da sie nicht di
Anwesenheit eines Voyeur-Publikum voraussetzt, dem es gegenüberzutreten
oder eine obszöne Faszination auszuüben gilt. Monrad malt en Puzzle von
in der Entstehung begriffenen Formen, wo keine Hierarchie sondern
lediglich ein gleichmäßiger Abstand zwischen den sich drängenden Figuren
besteht. So wird das Bild einer ausgewogenen Welt geschaffen, das sich
erweitert, um die größtmögliche Menge dieser embryonalen Figuren am
besten aufzunehmen, die um Untergang oder Überleben kämpfen; Ein
ausgeglichenes Bild, das meiner Ansicht nach den Prozess der natürlichen
Auswahl wiederspiegelt. Auch für Monrad, wie Brancusi behauptete,
“besteht Schönheit im absoluten Gleichmaß”.
Auf der durchgängigen Fläche erscheint bei Monrad eine einzige Szene,
die aus einem Zenitstandpunkt in einem “vollen”, und damit unbestimmten
oder unendlichen Raum steht, ganz ähnlich wie bei den all-over-Gemälden
von Pollock und Tobey. Eine wie im Dripping von oben gesehene Szene,
vielleicht, oder eher von unter gesehen, wie durch eine durchsichtige
Flüssigkeit. Dort beobachtet man die Wiederholung einer Art Zell-Figur,
einer vielfältigen, doch immer gleichen und doch immer wieder
unterschiedlichen Wiederholung. Die Ähnlichkeit dieser einlinigen Zelle
ist unverkennbar: sie sieht aus wie ein Kriechtier. Gleichzeitig jedoch
entsteht in unserer Vision eine ganz neue, bebende Spezies.
Was wir dabei entdecken, ist eine neue Ikonen-Art – nicht ein
spezielles Einzelbild – die die neuesten Bildkünste, meiner Ansicht
nach, zusammen mit den Massenmedien erstellen. Es handelt sich um ein
“Quasi-Bild”, nicht mehr um ein einfaches Zeichen, aber auch noch nicht
um eine definierte Figur, die in der Kommunikation, der Kunst und der
Informatik besteht, um die eigenen Instrumente und unsere Vorstellung in
eine Netzwerkvorrichtung einzuschließen. Dabei beziehe ich mich auf die
“Tierchen” bei Monrad und die Ikonen bei Apple oder Windows, auf die an
Wänden angebrachten Tags- oder die Gemeinschaftsbilder von Warhol,
Basquiat und Clemente, ebenso wie auf animierte Piktogramme, die
graphischen Logos, die Computer-Viren, die wissenschaftlichen Diagramme
und die noch nicht sichtbaren Erzeugnisse der Gentechnik, denen früher
oder später bildhafte Darstellungen gegeben werden müssen.
Es ist wahrscheinlich, dass dieser ikonographische Archipel, der noch
zu erforschenden “Fast-Abbildungen”, funktionsmäßig zu den “ungewissen
Spezies” gehört, zu denen die Biologie auch Viren und Bakterien zählt,
d.h. den Zwischenstufen zwischen unbelebter Materie und eigenbewussten
Lebewesen. Die erzählende Kunst von Jorunn Monrad zählt zu den
großzügigsten und beständigsten Nestern. Ihre “Tierchen” werden wachsen.